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In una delle sue splendide "finzione Borges narra
del sogno di un cartografo, la cui massima ambizione era quella di realizzare
una carta geografica, un mappamondo così fedele, riguardo ai topoi
terrestri in esso raffigurati ed alle loro relazioni, da essere una mimesi
perfetta del pianeta, una sorta di sovrappelle della terra. E in un'altra
descrive l'angoscia e insanabile mania del letterato che affidò
le sorti della sua realizzazione di scrittore ad un unico ed impossibile
compito: riscrivere il Don Chisciotte della Mancia, ma riscriverlo così,
esattamente e per intero, come lo scrisse il suo autore Miguel de Cervantes.
L'ambizione al massimo della mimesi è dunque il massimo della "finzione",
mi dicevo osservando le tele esposte da Domenico de Dominicis.
Nudi di giovane donna in posture varie, ma per lo più proposti
di profilo o di terga, come se la realtà da mimare/possedere dovesse
subire lo sguardo indagatore di chi intendesse insidiarla, e questi ne
volesse al contempo rifuggire l'occhio pietrificatore di gorgone.
E poi strumenti musicali e libri e carte, anch'essi rotondi e plastici
perfettamente riconoscibili, ma inafferrabili e sghembi, profilati, allusivi,
in una parola ambigui. Come ambigua e profilata è la realtà
e ancor più lo è l'arte, che quella mima per un sogno impossibile
d'assoluto.
ALFONSO CARDAMONE
(su DISMISURA - Dicembre 1990)
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